Ancora sul quarto condono edilizio

Editoriale uscito nel Giornale di diritto amministrativo (1/2019).  L’articolo in .pdf è disponibile qui.

 

Abusi e condoni edilizi: dalla clandestinità al giusnaturalismo?

di Lorenzo Casini

 

In Italia, dal 2015, l’indice di abusivismo edilizio – ossia il rapporto, calcolato ogni anno dall’ISTAT, tra costruzioni abusive e costruzioni autorizzate – sfiora il 20% (1). Nel 2007, era al 9%. In alcune Regioni, come Campania e Calabria, l’indice arriva al 64%; il valore più basso, di appena il 2%, è in Trentino Alto Adige. Tutto questo accade oggi, nel 2018, nonostante i 3 condoni edilizi degli anni 1985, 1994 e 2003. E nonostante l’impressionante numero di domande di sanatoria presentate in quelle tre occasioni: circa 4 milioni di istanze per il primo condono; 300.000 per il secondo; oltre 400.000 per il terzo (2)​. Si è così giunti, nel 2016, a un totale di oltre 15 milioni di pratiche, di cui 5 milioni ancora inevase (3)​.

Il condono del 1985 aveva dato l’illusione di poter porre fine una volta per tutte all’abusivismo edilizio. Mai è iniziato, però, un vero e proprio censimento degli abusi. Né è mai cominciata una efficace attività di vigilanza e demolizione: solo nel 2017 è stata prevista l’istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della banca dati nazionale sull’abusivismo edilizio, con un finanziamento di 500.000 euro a decorrere dal 2019 (art. 1, comma 27, L. 27 dicembre 2017, n. 205). Ma le pur timide speranze che questa banca dati aveva alimentato, insieme con appositi stanziamenti ai Comuni per le demolizioni, si sono presto infrante contro le scelte adottate dall’attuale Governo. Da giugno 2018, i condoni edilizi sono tornati e gli ultimi quindici anni di giurisprudenza costituzionale e amministrativa a tutela del paesaggio sono stati accantonati a vantaggio dell’abusivismo, con riguardo alle zone colpite dagli eventi sismici del 2009, 2012, 2016 e 2017, nel Centro Italia e a Ischia.

Quanto agli immobili danneggiati nel Centro Italia, lo scorso giugno, il Movimento Cinque Stelle (M5S) ha inserito, in sede di conversione del D.L. 29 maggio 2018, n. 55, una mini-sanatoria per le opere edilizie minori (quelle di manutenzione straordinaria, riferita anche a parti strutturali) realizzate in assenza della – o difformità dalla – Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) presentata per realizzarli (art. 1 sexies, D.L. n. 55/2018, conv. L. 24 luglio 2018, n. 89). Nell’iter parlamentare del D.L. 28 settembre 2018, n. 109, conv. L. 16 novembre 2018, n. 130 (c.d. decreto Genova), questa disposizione – con emendamento sempre del M5S – è stata modificata per includere nella possibilità di sanatoria le opere non “minori”, come le ristrutturazioni, per di più eseguite anche in assenza di o in difformità dal permesso di costruire (art. 39 ter, D.L. n. 109/2018). Ma la sanzione è rimasta la stessa. Si tratta di opere realizzate anche dopo il 2003 – termine fissato dall’ultima sanatoria di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. L. 24 novembre 2003, n. 326 – e fino al sisma del 2016, perciò si è di fronte a un vero e proprio nuovo condono.

La vicenda di Ischia è ancor più eclatante. In questo caso, sempre il D.L. Genova, all’art. 25, ha previsto che a tutte le istanze di condono – ossia presentate ai sensi di tutti e 3 i condoni edilizi, quelli del 1985, 1994 e 2003 – relative agli immobili danneggiati dal sisma del 2017 saranno applicate le norme della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ossia quelle, più permissive, del primo condono edilizio (4)​. Le disposizioni del 1985 ora potranno essere usate anche per abusi realizzati sino al 2003, inclusi quelli che, senza la nuova norma ad hoc, sarebbero rientrati nel regime del c.d. terzo condono edilizio. Le norme del 2003 sono più restrittive di quelle dei due precedenti condoni, specialmente quanto alla tutela del paesaggio. Queste restrizioni, più volte richiamate dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, ora non valgono più per l’isola di Ischia, vincolata paesaggisticamente da diversi decenni. Il decreto ha quindi ammesso alla sanatoria opere abusivamente realizzate tra il 1994 e il 2003 che, con le regole del terzo condono edilizio, mai si sarebbero potute sanare. Queste opere non sono state ancora demolite per svariate ragioni – tra le quali il fatto che i proprietari hanno comunque presentato istanza di condono, così da sospendere la demolizione. Il problema dell’abusivismo edilizio a Ischia, del resto, è antico e tristemente noto: basta consultare i rapporti Mare monstrum di Legambiente. E i numerosi tentativi perpetrati dal 2003 a oggi per aggirare le norme di tutela del paesaggio erano sempre falliti sia in Parlamento, sia in sede giudiziaria (Corte cost., ord. n. 150 del 2009).

A nulla sono valsi gli sforzi parlamentari per arginare questa deriva. Le modifiche inserite alla Camera nel D.L. n. 109 del 2018 hanno solo precisato che, nel caso di istanze presentate in base alle regole del terzo condono edilizio (quello del 2003) – la maggior parte delle quali avrebbero dovuto essere rigettate proprio perché in area vincolata – le procedure sono definite previo rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. La modifica non ha perciò ripristinato il più severo regime del 2003, che escludeva il condono in aree paesaggistiche nella gran parte dei casi, ma ha creato un nuovo sistema, in cui la decisione se concedere o meno la sanatoria è tutta demandata, in ultima istanza, alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC) territorialmente competente. Opere abusive che prima non potevano essere condonate, dovranno tutte essere esaminate dalla soprintendenza. Ed è comunque prevista anche la conferenza dei servizi, con i meccanismi di superamento di eventuali dissensi. A Ischia, perciò, non è più il legislatore a stabilire che, per la tutela del paesaggio, alcune opere non sono condonabili, ma sarà l’amministrazione – e in particolare il soprintendente – a dover valutare caso per caso: le opere escluse dal condono del 2003 potranno ora accedere alla sanatoria, assumendo – cosa altamente probabile – che i proprietari abbiano presentato in ogni caso istanza di condono a suo tempo, magari proprio scommettendo su un intervento legislativo.

Cosa insegnano queste vicende?

Innanzitutto, il paradosso è che questi nuovi condoni sono stati introdotti da una forza politica – il M5S – che ha tra le proprie fondamenta proprio la tutela dell’ambiente e del territorio. E il conflitto interno al Movimento su questi temi traspare dall’iter parlamentare: alla Camera sono stati presentati dal M5S alcuni emendamenti – poi respinti – diretti a contenere o annullare gli effetti del condono a Ischia; al Senato, in Commissione, anche grazie ad alcuni senatori del M5S, era stato approvato un emendamento dell’opposizione, poi soppresso in aula, che cancellava dal decreto-legge il riferimento al condono del 2003. Come scrisse qualche anno fa Salvatore Settis nel suo bel libro “Paesaggio. Costituzione. Cemento”, l’Italia ha un “paesaggio distrutto dalle leggi”. Era difficilmente immaginabile, però, che le leggi più distruttive degli ultimi quindici anni potessero essere forgiate da un Governo retto da una forza politica che ha l’ambiente tra le sue cinque stelle.

Inoltre, è mancata una vera opposizione di tutte le forze, politiche e civili, contro questi condoni. In Parlamento vi è stata una azione ferma e decisa da parte delle minoranze, riportata solo parzialmente dai media. Le associazioni ambientaliste, ancora frastornate dal brusco cambiamento del M5S, hanno provato ad alzare la voce. Neanche i ministeri competenti, come il MIBAC, hanno opposto la minima resistenza, quando invece, per fare un esempio, nel 2003 fu proprio l’allora Ministro Giuliano Urbani a combattere per limitare le conseguenze che il terzo condono edilizio avrebbe causato sul paesaggio. Questa volta, nel silenzio da parte della società civile, sembra essere mancato proprio quell’attivismo mediatico che il M5S ha sempre praticato negli anni in cui era all’opposizione, specialmente su questi temi. Basti ricordare il caso del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, conv. L. 11 novembre 2014, n. 164, il c.d. decreto “Sblocca Italia”, il cui scopo non era quello di sanare costruzioni abusive private, ma di accelerare la realizzazione di infrastrutture di pubblica utilità: vi furono, allora, manifestazioni, instant-books, proteste veementi contro il Governo. Nulla di tutto ciò si è verificato di fronte ai nuovi condoni edilizi approvati nell’autunno 2018. Del resto, anche in successivi provvedimenti, come nel D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, o nella L. 30 dicembre 2018, n. 145, sono state introdotte misure con forte impatto sul territorio e sulle regole urbanistiche, come nel caso delle dismissioni immobiliari, delle concessioni demaniali o delle concessioni idroelettriche, in cui lo Stato sembra aver abbassato la guardia verso le amministrazioni regionali e locali. E ciò trova conferma anche nella proposta di nuova delega legislativa in materia edilizia, in cui è stato ipotizzato un ampliamento delle categorie di interventi c.d. liberi.

Infine, il dato forse più allarmante è che la logica dei condoni sembra essere divenuta parte integrante del diritto del governo del territorio italiano. Una logica estranea ad altri ordinamenti: gli stranieri stentano a comprendere come si possa lasciare in piedi un edificio che non avrebbe dovuto essere costruito o che sia stato costruito in violazione delle regole urbanistiche. L’abusivismo e il condono, in Italia, sembrano non più far parte di un ordinamento giuridico “clandestino”, secondo la nota formula di Massimo Severo Giannini. Abusi e condoni edilizi hanno oramai dato vita a una specie di “giusnaturalismo”, che prima o poi consente allo Stato di riconoscere ai proprietari il diritto di edificare nei luoghi e nel modo nei quali i proprietari stessi hanno scelto di esercitarlo. La leva economico-finanziaria, per di più, è divenuta meno rilevante, anche perché gli oneri di urbanizzazione per le costruzioni abusive possono superare le entrate derivanti dal pagamento delle oblazioni versate per le pratiche effettivamente evase. E il conflitto di competenze legislative tra Stato e Regioni, ancora molto acceso nel 2003 in occasione del terzo condono edilizio (Corte cost. n. 196 del 2004), pare sopito su questi temi, nonostante nel caso di Ischia lo Stato abbia in parte leso la potestà regionale in materia di governo del territorio: ma che interesse può avere la Campania ad impugnare una legge statale che finalmente attua quel che la Regione ha tentato di realizzare senza successo in più d’una occasione?

La stratificazione di questo gioco ciclico costruito su abusi, aspettative e sanatorie, d’altronde, è profonda e risalente. Basta ricordare la storia di Roma moderna: già Émile Zola, nel 1896, descriveva “un vol de spéculateurs” edilizi venuto dall’Alta Italia, che si era abbattuto sulla più nobile e facile delle prede: Roma (5)​; negli anni Trenta del XX secolo, Giuseppe Bottai, come governatore della Capitale, deliberava che le regole urbanistiche del 1931 non dovevano ostacolare lo sviluppo edilizio in quelle zone dove si erano costituiti “naturalmente” interi nuclei, in difformità di qualsiasi norma (6)​; nel secondo dopoguerra, è coniata la formula del cd. “abusivismo di necessità” (7)​, che poi portò alla prima sanatoria del 1985 tesa a condonare anche i c.d. “nuclei spontaneamente sorti”; oggi, la Capitale conta il più alto numero di pratiche di condono edilizio, oltre 600.000, di cui oltre 200.000 non ancora evase (8)​.

Decenni di edificazioni naturali e spontanee, al di fuori delle regole, dunque, spiegano in parte i tratti giusnaturalistici che abusi e condoni edilizi hanno acquisito nel nostro Paese. A queste ragioni, ne vanno aggiunte altre di ordine storico, economico, culturale, sociologico e persino religioso e antropologico, che restituiscono la cifra dell’enorme divario Nord/Sud, divenuto forse anche maggiore dei livelli pre-unitari.

Esistono rimedi per migliorare questa situazione?

Le vicende dei condoni edilizi mostrano che, almeno in Italia, quello comunale non è il livello di governo più appropriato per contrastare l’abusivismo. Andrebbero valutate altre soluzioni, coinvolgendo maggiormente autorità sopra-ordinate o anche creando apposite strutture statali, possibilmente di natura tecnica, con poteri e mezzi “speciali” per smaltire tutte le istanze arretrate e procedere con le eventuali demolizioni. La lotta contro l’abusivismo edilizio richiederebbe un’agenzia nazionale non meno di quanto avvenuto con altre questioni. Ma la praticabilità di tali opzioni appare sempre meno concreta, se la “pressione” elettorale locale è giunta a condizionare il Governo e il Parlamento nel modo che si è visto.

Nel caso di Ischia, per esempio, vi è senza dubbio un problema molto serio da risolvere. Ma la soluzione trovata con il decreto Genova appare sbagliata, oltre che difficilmente sostenibile: non è “scaricando” tutto il peso della decisione sulla Soprintendenza del MIBAC che si avrà la migliore ponderazione degli interessi pubblici coinvolti. La misura su Ischia, inoltre, crea un precedente pericoloso per la tutela del paesaggio, che potrà portare a richieste analoghe per altre zone d’Italia. Un precedente che non può trovare giustificazione negli eventi sismici, che per di più spesso producono danni molto gravi anche a causa della massiccia presenza di costruzioni abusive. Si è scelto, poi, di intervenire sulle regole generali del condono edilizio per un’isola, con disparità di trattamento rispetto al resto del territorio nazionale (il che solleva anche dubbi di legittimità costituzionale). Sotto questo aspetto, la mini-sanatoria per le aree del Centro Italia colpite dal sisma è almeno qualcosa di nuovo, anche se, nella sostanza, non diversa da un condono edilizio.

Il problema dell’abusivismo edilizio può essere risolto solamente con investimenti adeguati di risorse umane, strumentali e finanziarie, recuperando le promesse formulate già nel 1985, poi purtroppo tradite. Occorre procedere con urgenza a un censimento che fornisca tutti gli elementi utili sulla storia, sul contesto e sulla natura di ogni singolo abuso edilizio: è evidente, per esempio, che le questioni della domanda e dell’offerta degli alloggi o dell’edilizia economica e popolare richiedono valutazioni più approfondite, anche per i profili urbanistici e paesaggistici, rispetto a quelle da compiere in ordine alla edificazione abusiva realizzata in aree dissestate dal punto di vista idro-geologico o per fini di lucro o di villeggiatura.

La sfida più difficile, tuttavia, rimane quella di carattere culturale. E la risposta strutturale più efficace su questo è sempre la stessa: bisogna partire dalla scuola, dall’istruzione e dalla promozione dello sviluppo della cultura, per far comprendere che il rispetto delle regole è a beneficio di tutti. Il condono non cancella solo la pena al trasgressore, ma lascia anche un segno sul territorio, a dànno e a spese degli altri cittadini. Un segno che non doveva essere tracciato: ecco perché è importante opporsi sempre, con fermezza, a ogni forma di condono.


Note

 

(1)  https://www.istat.it/it/files//2017/12/cap09.pdf e https://www.istat.it/it/files//2018/07/Aggiornamento_Bes_luglio_2018.zip.

(2) P. Berdini, Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, Roma, 2010, 69. Si v. anche F. Curci – E. Formato – F. Zanfi (a cura di), Territori dell’abusivismo. Un progetto per uscire dall’Italia dei condoni, Roma, 2017.

(3) Rapporto del Centro Studi Sogeea, presentato in Senato per il convegno Trent’anni di condono edilizio in Italia: criticità, prospettive e opportunità(22 aprile 2016): http://www.centrostudisogeea.it/img_ricerche/Rapporto%20Condono%20Edilizio%20-%20Aprile%202016.pdf.

(4) S. Battini – L. Casini – G. Vesperini – C. Vitale (a cura di), Codice commentato di Edilizia e Urbanistica, Milano, 2013, in particolare i contributi di D. Caldirola in materia di condoni, 962 ss., 1050 ss. e 1553 ss.

(5) É. Zola, Rome (1896), Paris, 1999, 395.

(6) Del. n. 5390 del 25 luglio 1935, citata da P. Berdini, Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, cit., 21.

(7) I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, Torino, 1971, 195 ss. Tra i volumi più recenti, V. Emiliani, Roma capitale malamata, Bologna, 2018, e R. Morassut, Le borgate e il dopoguerra. Politica, società, ideologia alle radici della Roma di oggi, Roma, 2018.

(8)  Rapporto del Centro Studi Sogeea, cit.

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